"Ama e fa' ciò che vuoi".

S. Agostino

venerdì 26 luglio 2013

Altro giro, altra valigia

Altro giro, altra partenza, altra valigia, altro viaggio. Dire "domani" mi mette un senso di vertigine inatteso. Domani mesi di scartoffie, sopralluoghi, telefonate, mail e incontri diventeranno realtà. Domani questo progetto condiviso, questo sogno (nel nostro piccolo) coraggioso prenderà vita davvero. La mia, la nostra onda blu è quasi arrivata. Si sentono le sue grida di gioia, in lontananza. Prendo per mano Rob e Collega. Sono pronta a tuffarmici dentro.

giovedì 25 luglio 2013

Un giorno di vacanza

The alla pesca freddo, Bach suonato dal flautista Galway, venticello, terrazzo, canto dei grilli, mamma fuori casa per tutto il giorno, maschera esfoliante sul viso, libri (Noi due come un romanzo di Paola Calvetti... decisamente romanzo da ombrellone; Storia di Neve di Mauro Corona... decisamente romanzo da poltrona e camino). 
Niente di più rilassante. 
Avrei un paio di cose da fare, ma non ho voglia di pensarci adesso. Non guarderò le email fino a stasera e se perderò una telefonata ho deciso che non sarà la fine del mondo. Ho detto ai miei ragazzi di prendersela comoda perché li aspettano quattro giorni intensi. Ho detto loro di fare ciò che ritengono più rilassante (Amicacuoca cucinerà, GGG guarderà i mondiali di nuoto, qualcun'altro andrà a fare una passeggiata per i campi, qualcun'altro ancora canterà o suonerà...), di prendersi un paio di giorni di riposo prima della parteza. Quindi, dato che io non ho un paio di giorni ma solo poco più di uno, vado a far vacanza.
Statemi bene, saluti dal mio terrazzo. 

domenica 21 luglio 2013

A far pace con la montagna

Sono andata a far pace con una montagna. 
Eh sì, perchè io da piccola ho litigato con una montagna e da allora non ne ho più voluto sapere. Del resto la colpa era sua: era caduta e aveva ucciso centinaia e centinaia di persone, spazzato via paesi, cancellato vite. Non ero solo arrabbiata ma quella montagna mi metteva anche molta soggezione, mi inquietava. Quando i miei genitori mi portavano in gita fin lassù io mi ammutolivo. Non ci volevo andare, perchè era necessario vedere quel posto? La tragedia era avvenuta molti anni prima e osservare tutto da così vicino non avrebbe riportato in vita le persone che erano morte. Non avevo paura perchè era già caduta e la valle si era già riempita di terra; c'era pur sempre un'ombra scura, la montagna e il paesaggio intorno avevano uno sguardo sinistro che mi penetrava dentro. "Ma insomma, perchè mi guarda male? - pensavo - Mica l'ho portato io tutto 'sto cemento fin quassù!". A scuola e in famiglia mi avevano spiegato che gli uomini avevano costruito un muro altissimo e che un giorno la montagna era caduta e l'acqua del lago si era trasformata in un'onda gigantesca che aveva ucciso tantissime persone. Mi avevano fatto vedere anche un film, e neanche tutto, solo la parte dell'acqua che arriva potente. Un'immagine tremenda per i miei nove anni... ma anche per i miei venti. Per molto tempo ho sepolto quella montagna e quel muro dentro di me. 
Un giorno di noia, una domenica pomeriggio, ho aperto lo scaffale dove teniamo le videocassette alla ricerca di un film che non sapessi già a memoria. Mi è capitato tra le mani un documentario su quella montagna... era arrivato il momento di affrontarla, capire qualcosa di più. Il documentario in realtà era una "diretta sulla memoria", uno spettacolo teatrale tenuto da un attore molto famoso e molto conosciuto soprattutto qui da me. Per due ore e mezzo sono stata seduta sul divano, ho riso, mi sono indignata, ho imparato, ho capito. Ho capito che la realtà è molto più complessa di come me l'avevano raccontata, forse giustamente, a nove anni: non c'erano solo le vite spazzate via dalla montagna, il muro e i signori cattivi che non hanno ascoltato nessuno; c'erano le storie di chi si è opposto, le vite di chi ha compiuto il proprio lavoro onestamente, un mondo, una vita quotidiana fatta di lavoro e religione e amore per la propria terra. C'erano gli aspetti geologici, storici, politici, istituzionali, toponomastici, accademici che nessuno mi aveva mai spiegato. Quello spettacolo è solo la punta di un iceberg, le informazioni che vengono date sono probabilmente solo una parte: non si può mantere l'attenzione di un pubblico solo con nomi e date, lo dico da storica. 
Così ho preso la macchina, ho guidato, guidato, guidato e ancora guidato, mi sono persa e ho guidato fino a che sono arrivata a quella montagna. L'ho osservata per bene, ho osservato anche il muro di cemento, il paesaggio intorno. Non ho avuto paura: si ha paura quando non si sa cosa succede. E io sapevo come e perchè quella montagna era scivolata, avevo nomi e date, appigli che mi si addicono. Però c'era sempre quel sentimento strano, quella montagna continuava a far vibrare delle corde. E' stato allora che ho capito: quella storia era anche la mia storia: mia in quanto abitante del mondo. E ho capito che andare a vedere una montagna non riporta in vita le persone ma è importante per ricordarsi del fatto che l'uomo è solo un uomo, solo uno delle tante creature del mondo e che se un giorno decide di costruire un muro deve farlo in modo da non mettere in pericolo le vite di chi gli è accanto: mucche, alberi, galline, altri uomini. Conoscere rende liberi, liberi dalla paura. Conoscere il passato mi rende possibile costruire con coscienza il presente. Lo dice anche la scimmia Rafiki a Simba nel Re Leone: "Dal passato puoi scappare oppure imparare". Io ho imparato. E ho fatto pace con la montagna.

sabato 20 luglio 2013

Orfano di figlia




[fonte foto: web]



Stavo uscendo dalla mia biblioteca, ero ancora inebriata dal profumo familiare dei libri e avevo il telefono in mano, pronta per l’ormai quotidiano messaggio a Rob e Collega. Ero persa tra i miei pensieri, elencavo tra me e me le cose che avrei fatto durante il giorno e ho respirato l’estate della mia città. E’ stato allora che l’ho visto. Era lì, davanti a me, seduto su una panchina dall’altra parte del cortile interno dello stabile. Ha alzato lo sguardo anche lui. Mi ha vista. Mi sono girata e ho inforcato gli occhiali da sole. Non ci vado, tanto non mi ha riconosciuta… sono così cambiata dall’ultima volta. Ho percorso con passo sicuro il porticato fino all’uscita, a metà tra me e lui. Però poi ho capito di avere un conto in sospeso con la bambina che è in me e ho esitato. Mi sono avvicinata e l’ho salutato. Era sorpreso di vedermi e mi ha detto che è stato contento di ricevere il mio biglietto con tutte quelle cose scritte. Sembrava così vecchio, anche se ci sono uomini che alla sua età hanno ancora molto da dire. Camicia e pantaloni larghi, sandali ai piedi. Sembrava trascurato. E i capelli con il gel sistemati male, il viso così gonfio, i denti marci, gialli, la voce troppo stridula e troppo forte, gli occhi troppo piccoli dietro gli occhiali. Sembrava un orfano. Orfano di figlia non si dice, ma lui sembrava proprio un orfano di figlia. Ho pensato a suo padre, ma le due immagini non si incastravano. Non si sovrapponevano nemmeno. Mi sono sentita così lontana, così forte, così diversa. In quel momento ho notato che si era sistemato sulla panchina nello stesso modo in cui lo faccio io: di lato, poggiando sulla parte libera borse, sporte, libri. Ho pensato a Saba e allo sguardo azzurrino. Mi sono sentita vuota e piena contemporaneamente. Vuota perché ancora quello che avevo davanti non coincideva con l’immagine di uomo che ancora avevo in mente e piena perché grazie a quel vuoto io sono diventata quel che sono: assetata d’affetto, fragile come gesso, nonostante tutto fiduciosa della bontà di chi incrocia la mia via. Mi sono sforzata un po’ per guardarlo, è brutto da dire, ma è stato così. Gli ho chiesto della madre, mi ha chiesto di sedermi accanto a lui. “No, ho tante cose da fare…” Non era vero. I programmi erano saltati tutti, avevo solo un messaggio da spedire e una telefonata da fare. Me la sarei cavata in cinque minuti. “… io devo proprio scappare”. Non ho sollevato gli occhiali da sole. Non gli ho ho permesso di vedere i miei occhi verdi. Verdi come quelli di sua madre. L’ho salutato e me ne sono andata. Mi sono sentita i suoi occhi addosso fin quando ho svoltato l'angolo. Occhi di padre che non sa dove stia andando sua figlia, con chi, perché. Occhi di padre che non sa chi sia sua figlia.

venerdì 19 luglio 2013

Normale amministrazione


[fonte foto: web]

Ore 7.30: Colazione con caffèlatte e cereali guardando il tg5.
Ore 7.45: Mi sposto in terrazzo con le mie scartoffie, porto il computer sul tavolino di plastica, mi siedo e accendo il telefono. Già due messaggi. Metto le cuffie e accendo la radio. 
Ore 7.46: Respiro profondo. Apro il file che devo sistemare. Copio tutti i nomi, aggingo grassetti, coloro, inserisco in verde le mie considerazioni. Controllo che ci sia tutto. Invio a TheHeadOfWomen, Rob e Collega. Cerco di contattare TheHeadOfWomen ma non ci riesco. Sento Amicacuoca che è anche compagna di viaggio, finalmente una pausa. Scrivo la bozza di una mail. La invio a Rob e Collega perchè la sistemino. Provo di nuovo a chiamare TheHeadOfWomen. Niente. Chiamo il Principe un paio di volte. Non risponde neanche lui. 
Ore 10.30: Pausa pipì.
Ore 10.35: Riesco finalmente a parlare con TheHeadOfWomen. Mi suggerisce un paio di modifiche al lavoro e di chiamare la Boss dei Mini, nel frattempo passo mezz'ora al telefono. Chiamo la Boss dei Mini, le spiego come stanno le cose. Mi suggerisce ancora modifiche al lavoro. Prendo nota. Mando un messaggio a TheHeadOfWomen. Tutto ok. Chiamo il Principe. Risponde. Lo aggiorno sull'aggiornabile. Chiamo Mousse. Chiariamo alcuni punti. 
Ore 12.00:  Tento di imbastire il pranzo ma mi ricordo che devo fissare un appuntamento con il Magnifico. Chiamo il Magnifico. Sbaglio numero, mi rimandano ad un altro. Chiamo il numero giusto. Tutto tace. 
Ore 12.10: Posso cucinare e mangiare.
Ore 12.40: Di nuovo davanti al computer. Collega ha spedito un paio di suggerimenti per la mail. Correggo la mail e la invio alla segreteria. Ordino felpe e magliette. Sistemo il file. Salvo. Chiama Collega perchè mancano all'appello alcune persone. Inserisco chi manca nel file. Salvo. Invio il lavoro definitivo (spero) a TheHeadOfWomen, Rob, Collega e TheHeadOfMen. Riprovo a chiamare il Magnifico. Niente. Chiamo Ciuffina. Ci aggiorniamo brevemente sulle rispettive vite, le elenco le cose che dovrebbe recuperarmi, la rendo partecipe dei nostri progressi. 
Ore 13.30: Pausa budino al cioccolato.
Ore 13.32: Posso leggere un capitolo di Storie di Neve di Mauro Corona?    
Ore 14.00: Leggo addirittura tre capitoli.
Ore 15.07: Il Magnifico non risponde ancora.
Ore 15.20: Chiama TheHeadOfWomen per sapere se è vero che ho ordinato 100 magliette e 15 felpe. Certo che le ho ordinate. Ci servono. 
Ore 15.25: Collega mi spedisce la lista delle donne che mancano all'appello. Giro la mail a TheHeadOfWomen chiedendole che fine abbiano fatto.
Ore 15.35: Provo di nuovo a sentire il Magnifico. Risponde. Fisso l'appuntamento. 
Ore 15.41: Spedisco una mail a Collega e Rob con la lista dei compiti per casa eseguiti. 
Ore 16.00: Posso godermi un po' di televisione.
Ore 17.30: TheHeadOfMen manda il suo file con i compiti per gli uomini. 
Ore 18.05: TheHeadOfWomen chiama per dirmi che fine hanno fatto le donne scomparse dalla sua tabella. Definiamo la prima pagina del libretto.
Ore 19.00: Cena frugale
Ore 19.34: Comincio a scrivere questo post sperando che la giornata sia finita
Ore 19.37: Squilla ancora il telefono. Altre domande. Ciaobacicivediamosettimanaprossima.
Ore 19.42: Mi chiedo: "MACHIMMELAFATTOFAREEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!"
Ore 19.42: Penso "... se 'i me paghesse!". Lo penso in dialetto. Perchè quando sono stanca io non ragiono in italiano. 
 

mercoledì 17 luglio 2013

A volte, accade

Spesso, accade. 
Accade di sentirsi fuori posto nonostante tu sia nel bel mezzo di una discussione sul vostro progetto. Accade di sentirsi fuori posto con quella t-shirt bianca con la scritta LOVE fatta come a tessere di mosaico. Accade di sentirsi fuori posto perché su quella maglietta è tutto semplice, ma dentro, sotto, le tessere sono disordinate, sparse sul pavimento del cuore. 
Spesso, accade di voler lasciare perdere tutto e gridare. Accade di voler scaraventare fogli, penne e caffè fuori dalla finestra. Accade di vedere problemi dove non ci sono problemi e di non vedere problemi dove ci sono problemi. Accade di non considerare le soluzioni più semplici delle possibili soluzioni.
Spesso, accade di aver caldo e freddo insieme. Accade che alla fine oguno pensi per sé e noi per tutti. Accade di parlarsi uno sopra l'altro senza capire nulla. 
Spesso, accade di volergli essere più vicina e più lontana nello stesso esatto momento. Accade che una piccola speranza non divenga realtà. Accade di volergliene dire quattro, al signor Disney... lui e le sue palle sulle principesse e i principi e i gatti che parlano. Accade di ripetersi "va tutto bene, sto bene" e non non crederci neanche un po'.
Spesso, accade. 
Però a volte accade anche che tu dica "ragazzi, ce la facciamo" e ne sei davvero convinta. Accade che i fogli che due ore prima volevi buttare, ora siano l'ancora che ti ferma a terra, la mappa che vi porterà dritti al tesoro. Accade che tu e gli altri due pazzi vi guardiate in viso e sorridiate piano. Accade che un piccolo successo, voi tre, lo abbiate già ottenuto. 
A volte, accade.  

martedì 16 luglio 2013

Piccoli passi

Io, Chiara,
che guardo quasi quotidianamente programmi quali Masterchef, Cuochi e fiamme, Cucina con Ale consapevole che mai e poi mai sarei in grado di riprodurre nemmeno la più semplice delle ricette proposte;
che sono la regina della "pasta al pomodoro, variazioni sul tema";
che sto alla cucina come Cicerone sta al dono della sintesi e Luca Giurato all' Accademia della Crusca;
ebbene io, Chiara, nel pieno delle mie facoltà e con il prezioso aiuto da casa di Amicacuoca, ho preparato delle palline al cocco che sembrano addirittura commestibili. 

domenica 14 luglio 2013

Concerto di un pomeriggio di mezza estate





[il mio cielo dalla mia stanza]

Il canto dei grilli. Le grida dei pavoni. Le risate dei bambini. La lite dei vicini di casa. Il rombo delle moto. La musica anni '80 della mamma. Neffa alla radio. Le macchine sull'asfalto. Il sussurro del vento tra le foglie. L'abbaiare di una cane. Il ticchettio dell'orologio. Il pennello su una scatola di cartone.


Il concerto di una domenica pomeriggio di mezza estate. 

sabato 6 luglio 2013

Il cane somiglia al proprio padrone... o viceversa?


 [coccolami]

* amiamo viaggiare in macchina, guardare fuori dal finestrino e sporgerci un po', ma niente viaggi troppo lunghi
* siamo carnivore
* ci sediamo sempre per terra: prato, ghiaia, piastrelle, cemento... stiamo comode ovunque, tranne che sedute composte su una sedia
* andiamo a letto presto
* ci svegliamo presto
* facciamo scappare le galline
* ci perdiamo nei particolari
* non siamo in grado di procedere dritte, vaghiamo qua e là
* siamo molto pigre
* abbiamo lo stesso colore
* in spiaggia stiamo sempre sotto l'ombrellone ed entriamo in acqua solo se costrette
* abbiamo una tana disordinata
* abbiamo sempre bisogno di essere coccolate
* siamo molto affettuose, ma solo se ci va
* temiamo i vigili
* a volte saltelliamo
* siamo incuriosite dal mondo che ci circonda
* i gatti ci stanno simpatici
* assumiamo le stesse espressioni
* dormiamo nello stesso modo: pancia sotto e bocca un po' aperta
* oguna a modo nostro, siamo uno strano incrocio

E quindi è davvero evidente: lei non potrebbe essere che il mio cane e io non potrei essere che il suo umano. 

[io, lei]

giovedì 4 luglio 2013

Come Duchessa


[fonte foto: web] 

Oggi ho capito che il diploma al conservatorio è una prova di forza. Amicaarpista ha suonato in un'aula bollente per quaranta minuti praticamente tutto d'un fiato, senza fermarsi mai. E mi ha portata nel mezzo di una bufera, nello studio di un'architetto, in una calle turistica, in un campiello assolato, nell'inferno più profondo e nel regno delle fate. Pazienza, Amicaarpista, se il risultato non è stato quello sperato, se settemmezzo non lo prendevi neanche a scuola, tu ci hai portati lontano da quell'aula bollente, hai suonato le corde dei nostri cuori, non solo quelle dell'arpa mal messa che avevi in dotazione. Questo è ciò che conta, infondo. Quindi grazie, grazie di cuore.

mercoledì 3 luglio 2013

Il mio primo pane

 
[il mio pane]

Lo sapete, io e la cucina siamo proprio come i binari: non ci incrociamo mai. Però qualche giorno fa al supermercato ho visto una busta di preparato per pane, non ho resistito e l'ho comprata. Stamattina, armata di ciotola e musica, mi sono messa ad impastare... Dicono che bisogna sbattere un po' la pasta... Le relazioni familiari hanno subito uno scossone, PUM! ... i centoventieuro di corso, PUM! ... le cose non dette, PUM! ... il lavoro di mamma, PUM! ... i miei film mentali, PUM! ... quella s*****a, PUM! ... quello che non risponde ai messaggi, PUM! Mi sono sfogata, è stata una bella esperienza. E poi la pasta è lievitata, l'ho messa in forno, si è dorata e l'ho sfornata che potevo chiamarla pane. Il mio primo pane. Le cose che fai con le tue mani hanno un sapore tutto speciale.

martedì 2 luglio 2013

GGG

Io chiedo un autista? GGG me ne trova uno.
Io chiedo qualche coperta? GGG ne porta un sacco.
Io chiedo qualche giovane? GGG ne coinvolge una dozzina.
Io chiedo almeno un giovane con cognizione di causa? GGG ne contatta tre.
Io chiedo una chitarra? GGG mi trova due chitarre e un percussionista.
Io chiedo qualcuno disposto a far parte del coro? GGG recupera dieci ragazzini.
Io chiedo delle testimonianze scritte? GGG inoltra la mia mail a tutti i suoi ragazzi.

Grazie GGG: se non ci fossi tu, a quest'ora sarei persa. 

lunedì 1 luglio 2013

...

La testa lavora più del dovuto. 
E  io a tratti non so neanche più come mi chiamo.
E non va bene. 
"Stacca il cervello Chiaretta".
Hai ragione... ma fosse facile!

Va così

Più mi muovo più mi sembra di non procedere.