"Ama e fa' ciò che vuoi".

S. Agostino

giovedì 31 marzo 2011

Miss Arroganza

Miss Arroganza siede accanto a me e mi rivolge critiche moraliste.
Miss Arroganza oggi pretendeva da me suggerimenti durante il compito di storia dell'arte. Miss Arroganza mi ha insistentemente chiesto di evitare di segnarle alcuni errori con la penna rossa sul compito di storia dell'arte (il compito era a crocette e la prof lo ha lasciato correggere a noi).
Miss Arroganza al mio "te lo scordi" mi ha strappato di mano il foglio e si è corretta le cose da sola.
Miss Arroganza mi fa parecchio ridere.

mercoledì 30 marzo 2011

Basta.

Sarà perchè sono stata sempre abituata a cercare l'approvazione negli altri prima che in me stessa, sarà che spesso non reagisco in maniera costruttiva alle critiche. Sarà che sono piuttosto permalosa. E a questo punto avrebbero ragione loro. "Usi i tuoi problemi come espediente". Grazie. Grazie, perchè in questo periodo avevo proprio bisogno di questo genere di sostegno. Sensibilità sotto le scarpe. Ma è inutile che mi arrabbi... un po' è vero, lo devo ammettere. Ma il fatto è che sono stufa di fare la parte della forte, in famiglia come in classe, di essere "data per scontata", anche se non è il termine giusto. "Ma tanto tu sei brava", dicono parenti e conoscenti vari. Non è vero niente. Non è vero. Sono un disastro in relazioni sociali, per non parlare di greco, ultimamente. Ma chi ve l'ha messo in mente? Sono stanca... di tentare di farmi sentire per dire che si stanno sbagliando, che infondo hanno ragione i miei compagni, che sono solo una ragazzetta egocentrica e presuntuosa e permalosa. Tra tante voci, tra tante urla, tra il silenzio troppo rumoroso della perdita riesco solo a soffocare il grido che ho in gola perchè "è un mio problema che non dovrebbe avere a che fare col compito di matematica". Non sono brava a lasciare perdere, a concentrarmi quando le emozioni prendono il sopravvento. Non sono capace di alzare la testa subito, ho bisogno di tempo, ho bisogno di "metabolizzare". Ho bisogno di... crescere. Ho bisogno di gente che è troppo lontana da qui. Forse ho solo bisogno di un abbraccio.

lunedì 28 marzo 2011

Viviana


Pensavo che fosse come un taglietto, come un graffio di un micio. E più passano i minuti più mi rendo conto che la ferita è davvero profonda. Non avrei creduto che fosse una parte così importante della mia strada. Pensavo che fosse una di quelle persone che incontri un po' per caso, che senti a Natale e a Pasqua per cortesia. E invece sto realizzando che non è così, che si è portata via una parte, piccola ma importante, della mia infanzia. Mi immaginavo che a lei non sarebbe mai successo di "non esserci più" eppure... eppure è successo e, stranamente, non riesco a capacitarmene. Diventa fondamentale, ora, la sua prensenza, così fondamentale che la presa di coscienza della sua assenza mi fa piangere.

Cosa mi rimane di te?

Il ricordo di un pomeriggio di sole, le sere d'estate al corso di Croce Rossa di mamma.

E un paio di orecchini custoditi al sicuro nel portagioie.

domenica 27 marzo 2011

La gioia dello strumento

Sto riascoltando i brani suonati al concerto di Fine Anno della mia Banda e, come al solito, mi sto emozionando. Sento l'allegria delle trombe, la compostezza dei clarinetti, la sicurezza dei tromboni, la sobrietà delle tube, il sorriso dei sassofoni, la serietà dei corni, l'impazienza delle percussioni, la raffinatezza dei flauti (sì, sono di parte), l'impazienza dell'ottavino. Ed è come essere lì sul palco, a suonare, a soffiare, a girare le pagine di parti interminabili. Si sente il lavoro di squadra, si capisce che ognuno è indispensabile per la buona riuscita di qualcosa di bello: la gioia dello strumento che prende vita tra le tue mani, impaziente di gridare, sussurrare, raccontare.

giovedì 24 marzo 2011

Le ho tutte

Sono stanca, avvilita, triste, svogliata, malinconica. E nel pallone, con l'acqua alla gola, in preda al panico.
Le ho tutte.

domenica 20 marzo 2011

Non è il suo collirio


Queste, caro oculista, non sono le lacrime del suo collirio... Non avrà bisogno di occhiali, lì dov'è adesso... Porterò nel cuore il complimento più strano che mi sia mai stato fatto: "Complimenti, signorina, ha una retina bellissima".
Grazie, grazie, grazie.
Grazie per ciò che è stato per me, perchè se vedo, ora, è soprattutto merito suo.

sabato 19 marzo 2011

La festa del papà


La festa del papà.
Alle elementari le maestre ci facevano costruire biglietti, scrivere poesie per l'uomo che più di tutti avremmo dovuto ammirare. Per colui che avrebbe dovuto essere il nostro principe azzurro, il nostro punto di riferimento, il nostro faro nella tempesta.
Ma a me già allora tutto questo pesava.
Perchè avrei dovuto scrivere cose non vere per me dentro quei bigliettini? Perchè avrei dovuto recitare davanti alla famiglia riunita un'ipocrisia quale "tra tutti i papà tu sei, l'unico che io vorrei?". Non era vero. Io non volevo quel papà. Io ne volevo un altro. Un papà che giocasse di più con me, che fosse capace di mettersi al mio livello. Un papà che mi scarozzasse in giro la domenica, che mi aiutasse a fare i compiti di matematica. Io volevo un papà adulto, capace, responsabile, non un ragazzino isterico, non uno che mi addossasse sempre la colpa di qualsiasi situazione come fanno i bimbi dell'asilo. Io volevo un papà che mi facesse scoprire il mondo e non uno che lo pretendesse da me, il mondo. Io volevo un papà che mi raccontasse una storia prima di andare a letto e non uno che si addormentasse tutte le volte che era con me.
Ma questo alle mie maestre non importava. Io dovevo fare come tutti gli altri compagni e perdere tempo a colorare, impastare, disegnare e ritagliare per uno che infondo non conoscevo, del quale non mi importava proprio niente. Quante bugie ho scritto dentro a quei biglietti... e a loro, alle maestre, andava bene così.
Per fortuna alle medie i professori non hanno mai preteso questo sforzo da me, ma la situazione, a casa, non cambiava. Comunque, a parere di mamma e nonni, dovevo festeggiare il papà. Ma io, nel mio papà, non ci trovavo proprio niente da festeggiare. Ciò che volevo era che lui diventasse grande, che la finisse di scaricarmi dai nonni per andare via senza di me, che fosse capace di comunicare con me. Non è mai decollato un rapporto vero tra me e lui. Per quanto mi sforzassi di coinvolgerlo nei miei giochi lui preferiva comunque disegnare in un'altra stanza, leggere, stare per i fatti suoi. E allora perchè avrei dovuto sforzarmi di trovare una chiave per aprire la porta che ci separava? E soprattutto, perchè avrei dovuto farlo io? Perchè ero più piccola di lui? No, signori. Proprio perchè ero più piccola di lui e perciò non avevo i mezzi per farlo, avrebbe dovuto cercare lui la strada.
Solo che poi incontri certi simpaticoni che ti dicono che "Gesù dice che devi volere bene al tuo papà". Ma Gesù ha un papà che lo coinvolge e si mettono a costruire un tavolo insieme, che lo cerca tre giorni a Gerusalemme, che lo porta a pescare nel lago. Tra l'altro Giuseppe non è neanche il papà vero di Gesù, e proprio per questo è da ammirare ancora di più; il suo papà vero ha i superpoteri e tutti sono capaci di voler bene ad un papà con i superpoteri. Ma allora non rispondevo così e me ne stavo zitta.
Lungo la strada ti trovi davanti a persone che ti danno un milione di consigli, che ti dicono qualsiasi cosa. E' difficile sentirsi diversi e incompresi, in questo senso. E' difficile spiegare a 9, 10, 11 anni che vuoi più bene alla gatta Carbone o al pupazzo Chicco che al tuo papà. Perchè non ti capiscono, perchè non accettano questo pensiero, non accettano il fatto che tu non stimi e non apprezzi il tuo papà "solo" perchè non gioca con te, perchè dorme anche quelle poche volte che lo vedi, perchè ti dice che quando sei con lui non riesce a fare quello che vuole.
Ma nonostante tutto tu, un po', ci speri ancora. Speri di salvare il salvabile, di raccogliere con un cucchiaino ciò che resta, se mai resta qualcosa, se mai esiste qualcosa.
E alla fine ti senti dire: "Figlia mia, sei un problema economico, per me. E' vero, non hai mai avuto bisogno di ripetizioni, non vai mai fuori il sabato sera e ciò che mi chiedi è di suonare con i tuoi amici in una scuola di musica piuttosto economica. Ma vedi, se non dovessi pagare questi 20 euro al mese io starei meglio. E poi, sai cosa ti dico? Per me sei un problema anche di tipo gestionale, perchè non ho voglia di portarti a suonare il sabato pomeriggio a 6 chilometri da casa e perchè in quelle due domeniche al mese che ti vedo io non riesco ad andare dove voglio a vedere chi voglio. E vuoi sapere un'altra cosa? Tu per me sei un problema sotto tutti i punti di vista perchè non so come si fa a stare con te e la colpa è tua perchè tu non parli con me, perchè tu non vuoi stare con me, perchè tu ti rintani a studiare anche la domenica mattina quando io vorrei andare a trovare i miei amici. La colpa è tua perchè tu non capisci che io sono stanco, perchè tu non mangi di tutto, perchè tu preferisci il nonno a me, perchè tu non hai i miei stessi interessi. Infine ti dico che per me tu sei un motivo di ansia. Quando penso a te mi agito e mi manca il respiro. Per tutti questi motivi io ho deciso che sia meglio non vederci più".
Il tutto mentre l'adolescenza ti invade, mentre avresti bisogno di sostegno, amore, sicurezza.
E allora ti cade anche quel poco di mondo che esiste e ti senti una figlia incapace e inutile, perchè se hai fatto sentire così male il tuo papà chissà cosa hai combinato con gli altri.
Per questo odio profondamente la festa del papà.
Ma festeggiatelo, voi, il vostro papà, se è un uomo dal cuore generoso e dal sorriso dolce.
Grazie a tutti i papà perchè aiutano i loro figli a crescere e a diventare delle persone di cui possono andare orgogliosi.
Auguri e grazie a tutti, escluso il mio.

venerdì 18 marzo 2011

Festeggiamoci!

Anche la mia Banda ha partecipato ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia.
E' stato un bel concerto, abbiamo suonato canti patrottici (per lo più marcette risorgimentali) e pezzi tratte da opere che hanno fatto la storia della musica italiana: un omagio al grande Verdi con l'Aida, il Trovatore e il Nabucco.
Alla fine, immancabile, l'Inno.
Questa volta suonato con più coscienza, con più attenzione. Perchè ci siamo anche noi dentro, perchè il ritmo, la melodia ci scorre sempre più nelle vene.
Un Inno ben suonato (o ben cantato) è un gesto importante, che ci fa sentire uniti, e non voglio cadere nella retorica.
Momenti.
Momenti in cui la musica e la Nazione diventano una cosa sola.

giovedì 17 marzo 2011

Auguri Italia


Auguri, Italia patria santi, poeti, navigatori.
Auguri, Italia della malasanità, dei siti archeologici che crollano, dei rifiuti lungo le strade.
Auguri, Italia ricordata solo il giorno dei mondiali di calcio.
Auguri, Italia della fuga di cervelli.
Auguri, Italia invasa dai turisti, da popoli diversi.
Auguri, Italia che non ricorda il congiuntivo.
Auguri, Italia delle tradizioni, della musica, dell'arte.
Auguri, Italia dei borghi silenziosi, delle città rumorose, dei campi che profumano di papaveri.
Auguri, Italia coperta di neve e marmi scolpiti.
Auguri, Italia dei grandi personaggi.
Auguri, Italia delle persone normali.
Auguri, Italia delle morti sul lavoro.
Auguri, Italia che conosce la solidarietà.
Auguri, Italia sparsa per tutti i musei del mondo.
Auguri, Italia del tricolore sventolato con sentimento.
Auguri, Italia della terra che trema, della montagna che sputa fuoco.
Auguri, Italia dei libri di storia e letteratura.
Auguri, Italia degli studenti diligenti.
Auguri, Italia delle cattedrali di roccia.
Auguri, Italia che canti a squarciagola l'inno.
Auguri, Italia dei più piccoli.
Auguri, Italia di ieri.
Auguri, Italia di domani.
Auguri, Italia. E auguri a tutti noi.
Oggi.

martedì 15 marzo 2011

Gigi

Gigi è malato. Ma malato seriamente. E' in ospedale. Gigi è il nomignolo affettuoso che io e la mia classe diamo al nostro professore di filosofia e storia. (Comunque anche lui ha un soprannome carino per noi: quando diciamo qualche castroneria ci chiama "eretici"). Lui non si ammala proprio mai, non fa mai una assenza, è sempre presente... e ora invece è in ospedale da circa due settimane con la febbre alta che non vuole scendere. Comunque noi glielo avevamo detto, di tenere chiuse le finestre che fuori c'era ancora freddo. Ma lui niente, ha sempre, costantemente, caldo. Gigi è l'istituzione del nostro consiglio di classe, l'unico professore di filosofia che comincia il programma di prima liceo da Platone e Cartesio invece che da Talete. E invece per quanto riguarda storia l'anno scorso abbiamo cominciato da Gesù... un programma alternativo! Non usiamo libri (però li abbiamo comprati alla modica cifra di 40 euro l'uno "perchè non si sa mai, qualche volta potrebbero servirci") ma ad ogni lezione si presenta con plichi e plichi di fotocopie ancora calde, rigorosamente spillate e numerate. Lui anticipa il programma di tutte le materie. E quando dico "tutte" intendo proprio "tutte": greco, latino, biologia, storia dell'arte, letteratura inglese... Un altro tratto caratteristico di Gigi sono le interrogazioni: quando ti chiama fuori ti fa una sola domanda (non necessariamente sull'argomento studiato) e per il resto del tempo tu stai lì fuori a fare schemi alla lavagna... praticamente al posto di prendere appunti sul bloc notes li prendi alla lavagna. E poi non si alza mai dalla cattedra. Non prende mai in mano un gessetto. (Siamo i suoi "schiavetti"); in classe nostra si è alzato una sola volta: in pratica ha chiesto ad una mia compagna di disegnare una costellazione ma lei non ci riusciva, allora lui (controvoglia) si è sollevato dalla sedia e lo ha fatto lui. Era una giornata scura e nuvolosa, ma quando si è alzato è entrato un raggio di sole dalla finestra. Sono seria, ragazzi, non scherzo. Ma adesso sta male, e dopo non aver avuto alcuna notizia di lui per almeno una decina di giorni, oggi ci hanno mandato un supplente. Un ragazzo che a occhio si è appena laureato e ci ha guardati male quando gli abbiamo raccontato delle nostre abitudini. A pelle non ci sta tanto simpatico, sembra volersi distanziare dalla linea che abbiamo seguito fino ad ora. Non sappiamo fino a quando questo nuovo prof starà con noi... ma sarà comunque un'occasione per sperimentare un modo nuovo di imparare e di crescere. Domani però, su richiesta del rappresentante di classe porterò in aula una foto del Gigi e la attaccheremo sopra la lavagna. Speriamo che torni presto il nostro professore, perciò forza Gigi, guarisca in fretta e Aristotele sia con lei!

lunedì 14 marzo 2011

Siamo alle solite

Ho un mucchio di cose da fare e poco tempo per farle. Curriculum da stendere, autori greci da studiare, gli esercizi di matematica da svolgere, un regalo da preparare, un brano di Telemann da rivedere, libri da leggere... UFFA!
Fatemi andare in vacanza...

giovedì 10 marzo 2011

Cosa sognano i pesci rossi

Durante la mia trasferta romana ho letto "Cosa sognano i pesci rossi", di Marco Venturino. E' una storia raccontata a due voci: da una parte c'è il pesce rosso, Pierluigi Tunesi, 45 anni ricoverato nel reparto di terapia intensiva di un grande ospedale; uomo brillante, dalla carriera in salita, marito di una donna raffinata e padre di una giovane ragazza alle soglie dell'adolescenza. Dall'altra parte invece c'è la faccia verde, Luca Gaboardi, anche lui sposato, ma anche divorziato, un po' stanco della vita in generale, medico del signor Tunesi. Tra i due si instaura un dialogo silenzioso, un ponte che collega la medicina alla speranza, se così si può dire.
E' un libro intenso non tanto di azione, quanto di pensieri, emozioni. Mi ha regalato delle importanti riflessioni, in particolare sull'importanza del tempo, sulla fortuna che ho ad essere una persona in salute. Ho capito un po' di più il mondo dei miei "colleghi di coro", della mia amica dispersa-quasi-infermiera che ora è a Copenagen per l'Erasmus... una bellissima lezione di vita!

mercoledì 9 marzo 2011

Roma

Siamo partiti in sette la notte di sabato e abbiamo dormito in treno. Dormito... si fa per dire! Nel mio scomparto è arrivato un signore australiano, e J., italo-americano, ha parlato TUTTA LA NOTTE con lui. E il bello che questo era anche mezzo ubriaco. Rendiamoci conto. Insomma, abbiamo solo disteso le gambe e chiuso gli occhi, anche perchè c'era molto freddo, ma senza sognare veramente.
Siamo arrivati a Roma la mattina presto e dopo aver girato un pezzo alla ricerca dell'hotel abbiamo cominciato il nostro giro. Eccola, Roma, così potente, maestosa, austera e un po' altezzosa, svelarci i suoi volti più noti... siamo uguali a tutti gli altri, noi, per lei. Turisti qualsiasi, anche se a me piace dire che siamo "viaggiatori", con una piantina in mano e scarso senso dell'orientamento. Questo senso di inadeguatezza, quasi, è durato poco. Una volta capito come utilizzare al meglio bus e metro e aver appreso la capacità di vedere oltre le cose più famose, si è lasciata scoprire: chiesine minuscole, angoletti caratteristici, vie nascoste che giapponesi distratti non sarebbero mai riusciti ad osservare.
Domenica mattina siamo andati al Quirinale, e visto che ce n'era la possibilità lo abbiamo visitato anche dentro, noi ragazze senza pagare il biglietto perchè "per le donne è gratis". Quante meraviglie! Vetri di Murano, arazzi, cristalli, marmi policromi... uno scrigno! Già che c'eravamo siamo andati ad una mostra sulla letteratura, sempre al Quirinale. All'interno abbiamo ammirato i manoscritti degli scrittori più famosi: Dante, Boccaccio, Tasso, Guicciardini, Petrarca... quale tesoro più prezioso per degli studenti di liceo classico? E'stato emozionantissimo vedere la scrittura di Manzoni, l'incipit dei Promessi Sposi con le correzioni a margine, le poesie di Leopardi... che meraviglia.




Poi abbiamo proseguito per il classico giro tra fontane, palazzi, rovine (con una brutta esperienza in fatto di cibo). Nel pomeriggio siamo entrati al Colosseo (anche questo gratis, eheheh!), e lo abbiamo girato, per quanto possibile, in lungo e in largo. La sera abbiamo cenato a Trastevere, in un ristorantino molto carino, tradizionale, con le parti affrescate e il soffitto cassettonato: straccetti di manzo, ottimi ed economici. E non ci siamo fatti neanche mancare un cono di gelato. Lunedì mattina invece siamo andati a San Pietro. Siamo entrati in Basilica e, da buoni classicisti, abbiamo cercato di tradurre le iscrizioni in latino e greco. Lì ho fatto da guida ai più interessati, tra marmi, ori, statue, salme di papi e tutto il resto. Siamo scesi nelle Grotte Vaticane e arrivati davanti al sarcofago di Bonifacio VIII abbiamo letto un passo del XIX canto dell'Inferno della Divina Commedia, proprio quello in cui Dante parla di lui: "Ed el gridò: "Se' tu già costì ritto/ se' tu già costì ritto, Bonifazio?/ Di parecchi anni mi mentì lo scritto./ Se' tu sì tosto di quell'aver sazio/ per lo qual non temesti torre a 'nganno/ la bella donna e poi farne strazio?"" ( Inf XIX, 52-57). E' stato un momento fantastico. Proseguendo abbiamo incontrato la tomba di Giovanni Paolo II. Marmo candido, fiori, bigliettini... mi sono salite le lacrime così, senza un apparente motivo. Avrei voluto avere il tempo di pensare a qualcuno, avrei voluto avere il tempo per dire qualcosa, per concentrarmi su un discorso sensato da fare lì davanti. Ma la fila non è disposta ad aspettare che i tuoi pensieri si riordinino, che la matassa che hai nel cervello si dipani. Così, dopo aver dato alla tomba un ultimo sguardo, siamo usciti.



Poi abbiamo preso la metro e siamo andati ai Fori. Entrata gratuita anche qui e ci siamo immersi nelle vicende che studiamo tutti i giorni sui libri di latino e di storia. Abbiamo passeggiato tra colonne e rovine, abbiamo visto l'altare dove Cesare è stato cremato e proprio lì abbiamo letto una parte del racconto di Plutarco riguardante la morte di Cesare. Nel pomeriggio siamo andati in Piazza di Spagna e in via Condotti abbiamo osservato nelle vetrine dei negozi le cose che con gli spiccioli del nostro portafoglio avremmo potuto comprare. Praticamente nulla. Un piccolo litigio tra una mia compagna e la sua mamma che ci ha accompagnato fino a qui ha oscurato un po' la giornata, poi però il sole è tornato a splendere.
Per cena il professore di filosofia di un amico di J. ci aveva consigliato di andare da Sora Margherita nel quartiere ebraico. Abbiamo preso l'autobus sbagliato, ci siamo praticamente persi però alla fine siamo arrivati all'indirizzo fornitoci. Ma pensate che abbiamo trovato 'sta benedetta Sora Margherita? No. In compenso abbiamo trovato un'altro ristorante, però pieno. Il proprietario però ci ha accompagnati nell'altro suo locale, Taverna Cairoli in piazza B. Cairoli. E' stato appena inaugurato e ve lo consiglio caldamente. Abbiamo scoperto un ambiente ottimo, con dell'ottima cucina, personale simpatico... ci hanno offerto un'aperitivo, l'antipasto e il dolce. E' stata una gran bella serata, ci siamo divertiti moltissimo tutti quanti. Martedì mattina siamo andati a passeggiare nel Parco di Villa Borghese. E' stato molto rilassante sostare vicino al laghetto, all'ombra di un albero e sui gradini della galleria.



Dopo pranzo ci siamo dati del tempo libero per girare senza fretta, ognuno per i fatti suoi. Io sono andata alla scoperta di alcune librerie, di San Pietro in Vincoli e del Campidoglio. Senza fretta, con il viso contro il sole, mi sono chiesta quanti occhi avranno osservato ciò che in quel momento stavo osservando io. Mi sono sentita un po' "una tra tanti", ma proprio per questo speciale, perchè i miei occhi sono diversi da quelli di tutti gli altri... Ci siamo ritrovati tutti qualche ora prima della partenza e ci siamo accorti di aver preso l'accento... buffo!
Poi per l'ultima volta, andando alla stazione Termini, abbiamo praticato il nostro sport estremo preferito: attraversamento selvaggio della strada.
E così la nostra avventura si è conclusa. Osservando Piazza della Repubblica con la valigia in mano mi sono resa conto che Roma si stava rivestendo del suo manto austero che si era tolta la mattina in cui l'avevamo incontrata per la prima volta. Il suo essere così magnifica, grande, imponente, era solo una maschera dietro la quale nasconde un cuore tenero, silenzioso: quello della notte sui ponti sul biondo Tevere, quello della chiesetta dimenticata, quello delle rovine che nessuno ha tempo di osservare. Me l'ha detto proprio lei, l'Urbe, facendomi l'occhiolino attraverso i fari della metro troppo vuota. Dentro alla sua divisa d'ordinanza l'egocentrica Roma (che ai più potrebbe sembrare come una signora di una certa età che tenta di ringiovanire mettendosi troppo rossetto rosso e minigonne vertigionose) è in realtà una ragazzetta timida, che ha paura di far conoscere i suoi lati più segreti, che adora i jeans e le ballerine e non ama molto fare troppo tardi la sera...

Breve brain storming


Sono tornata!!!
Ho un mucchio di cose da raccontarvi e non so da che parte cominciare. Mmmm.... facciamo un brain storming? Facciamolo.
Sole, australiano, freddo, cuccetta, letture, Divina Commedia, Bonifacio VIII, San Pietro, monumenti, marmo, grotte, latino, greco, attraversamento selvaggio, camminare, metro, bus, perdersi, ristorante, Sora Margherita, parco, autoctoni, accento, litigi, telefono, guida, piantina, librerie, cartoline, banda, "per le donne è gratis"...

Con calma, nel prossimo post, vi spiegherò tutto.

sabato 5 marzo 2011

Partenza

Per qualche giorno sarò assorbita dall'Urbe, dunque vi saluto tutti e vi abbraccio uno ad uno.
vado a preparare la valigia, intanto vi lascio una fra le mie poesie preferite.

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
Non temere i Lestrigoni, i Ciclopi o la furia di Nettuno,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
Non incapperai di certo né nei Lestrigoni, né nei Ciclopi né nell'irato Poseidone
se non li porti dentro,
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente, e con che gioia - tu toccherai terra per la prima volta:
indugia negli empori dei fenici e compra madreperle, corallo, ebano ed ambre,
tutta merce fina, anche profumi inebrianti d'ogni sorta, più che puoi di profumi inebrianti;
va' in molte città egizie
e impara dai sapienti.

Sempre devi avere in mente Itaca, raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto non affrettare il viaggio; fa' che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
tu metta piede sull'isola, ricco dei tesori accumulati per la strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei non ti saresti mai messo in cammino.

E se la troverai povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai saggio, con tutta l'esperienza addosso
avrai capito cosa Itaca vuol significare.

C. Kavafis

giovedì 3 marzo 2011

"Ti voglio bene"... ?

Chi non ha come compagno di classe un ragazzo egocentrico (più di me!), divertente, simpatico, mediamente scemo, che parla esclusivamente di sé e anche nel bel mezzo di una lezione di storia dell'arte riesce a collegarsi al calcio? A noi è toccato Fede, che corrisponde esattamete a questa descrizione. Ebbene oggi, questo mio compagno di classe, durante l'ora di religione se ne è uscito con una domanda che ha ammutolito tutti.
"Prof ma cosa significa "ti voglio bene""?
E tu, prof, cosa rispondi?
Si doveva parlare di Libia, libertà, questioni etiche, testamento biologico, Unione Europea, aborto... ma si sa, l'amore è al di sopra di tutto.
La prof lo ha guardato, poi ha guardato tutti noi e ha capito che anche nei nostri occhi c'era la stessa domanda. Magari non lo sapevamo neanche noi, magari in quel momento non ce ne rendavamo conto, ma c'era. La prof ha preso un po' di tempo, raccontandoci che quello è il genere di domande che le pongono i suoi figli prima di andare a dormire... si è sentita un po' la "nostra mamma".
Ma alla fine ha risposto.
"Ti voglio bene" non significa solo che provo per te affetto, ma anche che ti conosco bene perchè voglio per te il bene, che sono disposta a sacrificarmi un po' per te. Significa che per te potrei mettermi da parte, che posso essere triste e felice con te, che sono disposta a prendermi carico della tua stanchezza, del tuo nervosismo. Ma allora mi devo aspettare in cambio qualcosa? Forse gratitudine, forse vorrei essere ricambiata, ma forse è meglio non aspettarsi niente e voler bene e basta.
Per quanto mi riguarda sono d'accordo con ciò che ha detto la prof e aggiungo anche che voler bene significa accettare di portare per un po' lo zaino pesante dell'altro in questo cammino, condividere l'acqua della borraccia, scegliere il luogo migliore per riposarsi insieme, magari all'ombra, vicino ad un torrente. Dico "ti voglio bene" a poche persone, ma quando lo dico, lo dico perchè ci credo veramente e più volte alla stessa persona. La gente dimentica spesso, perciò bisogna ricordare.
Inutile dire che oggi, al suono della campanella che ha segnato la fine dell'ora di religione abbiamo tutti capito che qualche volta abbiamo detto "ti voglio bene" un po' a caso... e grazie, Fede, per questa bella riflessione che ci hai permesso di fare.

mercoledì 2 marzo 2011

Tornare a casa


Ieri sera tutto si è sistemato.
Il maestro, seduto su un banco, davanti a tutti noi, ha scelto con cura le parole, ha fatto pause "ad effetto", ci ha guardati tutti negli occhi con serietà e l'ha detto.
"Scusatemi".
Ha riepilogato gli eventi degli ultimi mesi, ha accennato ciò che accadrà in futuro, le scelte che si dovranno affrontare. Ha detto che né i violini né altri strumenti non verranno più, a parte il mio flauto e l'organo (e io mi sono sentita piccolissima, perchè è anche colpa mia, perchè io, a differenza degli altri, resterò), che si faranno delle lezioni di teoria musicale, che si canterà con più "coscienza". Nonostante tutto è stato un bel momento. Come in una famiglia si discute, così ieri abbiamo fatto noi. Le cose si sono sistemate, tutto è tornato come prima. I contralti necessitavano, in passato, di un sostegno, così sono arrivata io, poi sono stata spostata, sono arrivati i violini, abbiamo cantato, ho suonato le parti di tenore, all'inizio protestando però poi ricredendomi perchè in effetti erano proprio belle.
E dopo le scuse il maestro si è rivolto a me e mi ha chiesto: "LaFlautista, i contralti non sono tanto sicuri in questa parte, suoneresti tu con loro?". Ho sorriso e non ci ho pensato due volte. Ho spostato il mio leggio e la mia sedia e mi sono seduta al mio posto originario. Una signora che canta fra i contralti mi ha detto: "Bentornata da noi" e mi è scesa una lacrimuccia. In effetti è stato un po' come tornare a casa dopo un lungo viaggio. Ho imparato, ho suonato, ho sperimentato cose nuove... però adesso basta, è tempo di ritornare "alle origini" per mettere in pratica tutto ciò che ho appreso a meno di cinque metri di distanza.
E' tempo di suonare, è tempo di cantare.
E' tempo di ridarci la mano e riprendere il cammino dal punto in cui lo avevamo lasciato.
Tutti insieme.
Di nuovo.
Con un sorriso.