"Ama e fa' ciò che vuoi".

S. Agostino

venerdì 7 giugno 2013

La mia cesta dei giochi

Da bambina odiavo giocare con le bambole: avevano quel sorriso ebete che me le rendeva antipatiche e non sapevo cosa farci. Ne avevo solo una, forse un regalo di qualche vecchia zia che non aveva idea dei miei gusti. Non mi attiravano neanche le macchinine, primo perché non ne avevo tante e secondo perché un gioco troppo dinamico per una poltrona come me. 
Adoravo alla follia i chiodini... forse il pubblico che mi legge sa cosa siano, comunque, per spirito di chiarezza è meglio dirlo: si tratta di quei bastoncini di plastica colorati con un cappello tipo fungo sulla sommità che si infilano in una tavoletta di plastica bucata. Li usano ancora i bambini di oggi? Non sono informata. A dir la verità non ne avevo tantissimi e si riuscivano a comporre solo motivi molto semplici, però io ci passavo le ore. Modestamente, ero la campionessa mondiale nel metterli in ordine di colore l'uno accanto all'altro oppure scrivere le lettere dell'alfabeto. Avrei potuto partecipare anche alle olimpiadi di chiodini.
Altro oggetto facilmente rinvenibile nella mia cesta dei giochi era l'album da colorare. Da nipote di un pittore non potevo non averne una collezione infinita: c'erano quelli dedicati agli animali, ai numeri, ai mestieri, altri assortiti. Ne divoravo uno dopo l'altro e avevo perennemente le mani sporche di pennarelli... forse c'era più colore nelle dita che nel disegno. Da che mi ricordi, non sono mai andata fuori dai bordi neri dei disegni e usavo i colori in modo realistico: per capirci, non coloravo di verde le nuvole. Disegnare era una cosa che mi piaceva davvero tanto... Per evitare che diventassi capricciosa mia mamma era costretta ad avere sempre in borsa un blocchetto di fogli e una penna: lo stretto necessario, insomma. "Questa bambina è nata con la penna in mano", ripetevano sempre in casa mia. E io, per questo, mi sentivo speciale: c'era chi veniva al mondo con una calcolatrice, con un neo gigante sulla schiena e io con una biro blu. Datemi una penna e affronterò il mondo.
Infine, avevo una venerazione per i puzzle che, ancora oggi, sono custoditi al sicuro nel mobile d'ingresso a casa dei nonni. Avevo delle regole ferree: uno: si assemblano prima i contorni, poi il centro. Due: si parte da quelli più piccoli per assemblare via via quelli più grandi. La mia specialità era comporli senza guardare il disegno sulla scatola... d'altra parte li avevo fatti e disfatti così tante volte che non mi serviva più neanche una sbirciatina. Questo mio talento era molto apprezzato in casa e capitava spesso che scoprissi mio nonno ad ammirarmi mentre, con la sicurezza di chi sa, incastravo le tessere le une alle altre. Ho imparato la geografia grazie ai puzzle: il mio preferito, infatti, aveva ben 200 pezzettini e raffigurava una cartina dell'Europa con Topolino e i suoi amici disegnati sopra. Per molto tempo ho creduto che se fossi andata in Islanda avrei incontrato Paperon de' Paperon e le pulcinelle di mare. Mi sentivo una specie di bimba prodigio, nel mio settore e credevo che la mia missione fosse mettere tutti i pezzi al loro posto. Beh, devo ammettere che crescendo ho scoperto che non è così semplice come credevo.
   
Ieri ho trovato tutti questi tesori nella mia vecchia cesta. Ci ho passato il pomeriggio.

1 commento:

  1. Anch'io mia cara , ero abbastanza allergica alle bambole...
    Ricordo solo i miei giochi abbastanza mascolini, i soldatini ( sempre con gli indiani) e tutti i giochi all'aria aperta...
    Non avevo pizienza per la manualità ( che invidio moltissimo ora) quindi banditi i puzzle, le costruzioni, che guardavo estasiate venire su dalle sapienti mani delle mie amiche!
    Buon- weekend, amica mia!

    RispondiElimina