"Ama e fa' ciò che vuoi".

S. Agostino

sabato 7 dicembre 2013

La seconda luce


[la luce del parco]

Compone il numero a memoria.
Non sapeva nemmeno di ricordarselo. 
Il telefono squilla. 
Trattiene il respiro.
"Pronto?"
"Nonna..."
E' sorpresa. Sono le sei di una sera qualunque, di un giorno qualunque, di un mese qualunque, di un anno qualunque. Ma dall'altro capo del telefono non c'è una persona qualunque, un qualunque centralino, un qualunque sconosciuto che ha sbagliato numero. 
"... sei tu veramente?"
"Certo, sono io".
E parlano come se nulla fosse successo, come se gli anni di silenzio si fossero annullati, come se fosse ieri, come se lui ci fosse ancora. 
"Vieni a trovarmi, un giorno."
Un invito inaspettato, sembra una luce. 

Guida piano ma è nervosa. Non c'è musica che riesca a calmarla. 
Prima di uscire di casa si è truccata con calma, ha cambiato lo smalto bordeaux e ne ha scelto uno dai toni naturali. Si è messa il rossetto. 
E ha compiuto tutti i suoi piccoli rituali che di solito compie prima degli esami: candele, filastrocche, incontri. 
Parcheggia la macchina ma non si decide a scendere. 
Ha paura dei mostri del passato, della temibile penombra del sabato pomeriggio dell'infanzia. 
Anche adesso è sabato pomeriggio, anche adesso come allora. 
Si ricorda del parchetto vicino a casa. Forse c'è ancora, forse è meglio andare lì, prima. 
Ci sono mete di cui non si dimentica la strada e la mappa è custodita nel primo cassetto del cuore. E questa è una di quelle. 
Il parchetto è come una radura nel bosco, è la casa delle fate. Ci andavano sempre, quando era bambina. Era la loro meta dei giorni di sole. Quello è il luogo dei suoi primi ricordi. 
Al centro c'è lo scivolo blu, il loro scivolo blu, quello da cui era bello buttarsi perché il cuore saliva in gola, i capelli corti si agitavano un po'. Era bello perché in fondo c'era sempre qualcuno che la aspettava. 
Le sembra di vedersi, piccina. 
Le sembra di vederlo, grande. 
C'era la luce e il sole e il cielo azzurro e le nuvole di cotone e il prato con le margherite. 
Un'isola luminosa, opposta alla perenne penobra del salotto. 
E' lì che sta andando, adesso. 
Ad affrontare la penombra. La sua penombra. 
Suona il campanello. 
Le ha comprato dei biscotti. Che cosa ridicola... dei biscotti. Ma sono tipici, vengono dalla pasticceria più buona della città e sono costati anche un occhio della testa. Spera che questo li renda meno stupidi. 
Le tende si spostano e il cancello si apre. 
"E' una sorpresa, non ti aspettavo". 
Non riesce a dire nulla. La abbraccia e basta. 
Parlano del presente e del futuro, di cose semplici, di vita. 
Ha i suoi occhi puntati addosso, si sente come all'esame di diplomatica, quando ha sbagliato perfino l'argomento a scelta. Ha sempre temuto quegli occhi piccoli e verdi. Lei li ha uguali. 
Ogni tanto sbircia di lato, a capo tavola. Era quello il suo posto di capotribù. 
Sbircia oltre la porta, verso le scale che portano alla taverna. E al laboratorio. Era quello il suo posto di artista, di re, di cantastorie. 
Nessun accenno al passato più doloroso, la conversazione è stranamente piacevole. "Non hai mai giocato, tu, io mi ricordo. Sempre con la penna in mano, sempre con la testa tra i libri, sempre a disegnare e a scrivere. Non eri una bambina difficile. Bastavano una biro e un pezzo di carta". 
Sorride. Quell'incontro ha fatto bene ad entrambe. 
Adesso è tempo di andare. 
Tra le case e gli alberi infiamma un tramonto rosso, uno di quelli con la sua firma. 
Mette in moto la macchina e si sente un po' più grande di quando ha parcheggiato. 
Lacrime offuscano la vista. 
Forse è meglio accostare e fermarsi un po'.
Il mascara non è waterproof ma infondo chissenefrega. 
Il tramonto è sempre più rosso. 

1 commento: