Giorno 8: Olimpia-Patrasso-mare
Abbiamo già caricato le valigie nella pancia della corriera e ci stiamo godendo l'ultima tappa della gita. Olimpia è un posto magico non solo per gli sportivi del gruppo, ma anche per me, che ho la coordinazione di una pera e lo spirito agonistico di un calamaro. Tra queste colonne Fidia costruisce la sua opera più imponente, la statua d'oro e avorio di un tranquillo Zeus, considerata dagli antichi una delle sette meraviglie del mondo. Alexandròs ci racconta che anche Erodoto e Tucidide sono stati qui: le Olimpiadi infatti non erano semplicemente un momento di sport ma un'occasione per far conoscere i propri lavori, vendere prodotti, scambiare idee... Quando arriviamo allo stadio molti di noi vogliono correre come gli atleti del passato. Per quanto mi riguarda sto benissimo seduta sulle tribune d'erba a godermi lo spettacolo. Poco lontano dallo stadio c'è un altare al centro della moderna cerimonia di accensione della fiamma olimpica. Ci viene spiegato che questa usanza, comprese le ragazze che danzano e l'invocazione ad Apollo, non nasce in antichità ma con le Olimpiadi di Berlino del 1936: un gesto che vuole significare l'amicizia tra i popoli ma che non ha niente a che fare con il passato greco... anche perchè qui non erano ammesse donne e il santuario era dedicato a Zeus. Il museo adiacente agli scavi non mi dice molto (ho ancora davanti agli occhi quello di Atene) ma la visita è piacevole e tranquilla.
Imbuchiamo le ultime cartoline e partiamo per Patrasso.
Prima che la corriera entri nel porto, Alexandròs ci saluta senza usare neanche una doppia ma mettendo (almeno lui) i congiuntivi al posto giusto. "Buon viagio!", ci grida agitando la mano. Mi aspettavo piuttosto un "buon ritorno a casa" o "auguri" o qualcosa così. "Buon viagio". Ma dove siamo diretti?
Non c'è tempo per pensare: siamo già in ritardo e dobbiamo ancora ritirare le carte d'imbarco.
Buon viagio anche a te, Alexandròs.
Siamo in partenza. La mia stanza è infondo al corridoio del piano più alto della nave. Un luogo introvabile, praticamente, ma almeno ha un oblò da cui si vede il mare. In cabina la radio canta con la voce di un pianoforte una musica lenta e triste, adatta al momento. Con le compagne i discorsi cominciano con un bilancio della gita: le meteore mi sono piaciute, in quell'albergo ho mangiato male e hai visto l'espressione della prof, fammi vedere le foto. Poi prendono una piega un po' più triste, pensiamo al futuro e al passato, alla fine di un'epoca (e a tutte le immagini che essa contiene) e all'inizio di una nuova. "Quando andrete in Grecia vedrete... quando andrete in Grecia farete... quando andrete in Grecia..." Ci hanno ripetuto così per quattro anni e mezzo e ora in Grecia ci siamo stati, abbiamo visto, abbiamo fatto.
La gita è finita. Non ce lo diranno più.
Ma ora sono sul ponte, fuori: qui ho trovato il mio posto sul traghetto e i pensieri si susseguono l'uno all'altro. La Grecia è stato un insieme di puntini uniti: eventi personali e nomi di personaggi mitici e storici sono tenuti insieme da un filo. Ma, mi viene da pensare, la Grecia è solo una parte minima del disegno più grande. Un evento importante, uno dei molti, da segnare in rosso sulla mia linea del tempo. Il fumo esce dai camini della nave e i miei pensieri si perdono con lui. Lo Ionio che stiamo per solcare è argenteo e le campane della chiesa di S. Andrea di Patrasso battono le cinque: è ora di andare.
Come ad Ancona una settimana fa, un boato riempie l'aria e piano piano la costa comincia ad allontanarsi.
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